Il Signore è il vero, unico pastore
Un parroco, entrando in una nuova comunità, lo fa portandosi libri e arredi, attese e sogni. Io sono venuto con un desiderio: essere a servizio. A servizio del Signore e vostro. Della sua Parola e della vostra fede. Il mio ingresso è stato un susseguirsi di emozioni e di incontri. Un cammino e un pranzo comunitario; una intensa epartecipata Eucaristia. Grazie a quanti si sono impegnati. Lo avete fatto con passione, competenza. I risultati si sono visti.
Con voi ho ascoltato le parole di don Angelo, delegato del Vescovo, che hanno messo in chiaro la cosa più importante e fondamentale: “Don Luigi, ricordati che il Pastore è il Signore. È lui che porta avanti questa comunità, non tu. Lui devi mettere e deve stare al primo posto. Lui è il centro, non tu. È lui che salva, lui sa la strada, lui dà la vita. È il Signore”. Parole che spegnevano un po’ i riflettori su di me. In realtà, parole provvidenziali, che ho sentito consolanti e rassicuranti. Vi dico il motivo.
La celebrazione dell’ingresso di un parroco è pervasa dall’elenco dei suoi compiti. Eccone alcuni: “Don Luigi, vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo… Vuoi adempiere degnamente e sapientemente il ministero della Parola… Vuoi implorare la divina misericordia dedicandoti assiduamente alla preghiera? Esercita con diligenza il tuo ufficio di maestro, di sacerdote e guida, raduna questa famiglia di Dio come fraternità viva e unita e conducila al Padre. Per questa comunità tu sarai segno segni vivente di Cristo buon pastore. Come padre in Cristo, avrai cura dei fedeli, perché ciascuno sviluppi la sua vocazione... Avrai una cura particolare per i poveri e i più deboli, per i giovani, i coniugi, le famiglie. Sarà tuo compito impegnarti a formare una vera comunità cristiana, animata da sincera carità e da spirito missionario , una comunità che chiami a Cristo coloro che ancora non credono e sostenga e alimenti la fede di credenti…”.
Dopo aver sentito che cosa dovrebbe fare un povero prete quale sono, mi sono chiesto: ma che cosa ci sto a fare qui? Non potrò mai fare tutto questo, non ne sono capace. È troppo. È impossibile. Rinuncio.
La risposta di Dio è arrivata dentro le parole di don Angelo: ”Don Luigi, non sei tu. Sono io. Questa comunità io la amo attraverso te e molto più di te. Sono miei figli, tutti. Sono ‘le mie pecore, il miogregge’. Non temere. Solo, cerca di ascoltarmi, mettiti dietro di me. Impara ad aver fiducia in me. Non ce la farai mai da solo. Non è questo che pretendo. Non devi, non puoi salvare tu il mondo. Non crederti così indispensabile, non pensare che io ti abbia messo lì per questo. Ti sto dicendo di credere in me. Ti sto chiedendo se mi ami fino a fidarti davvero di me, sempre”.
Ci ho riflettuto in questi giorni. Alcune cose mi sono apparse un po’ più chiare. Provo a dirvi qualche cosa di quello che mi sta passando per la mente e nel cuore.
Il prete deve vivere un fedele e profondo rapporto con Gesù, il suo unico Signore, l’unico e vero pastore. Sono mandato per annunciare il Vangelo, anche se mi chiedo se e come annunciare la Parola di Dio, proponendola come luce che illumina anche le situazioni più oscure, Parola che dà forza anche nelle difficoltà più dure, che libera e fa risplendere la vita, che offre una speranza incrollabile in un mondo plurale, complicato, refrattario. Resto sempre convinto che annunciando il Vangelo posso contribuire alla costruzione della comunità cristiana e umana. Vorrei, dovrei essere un prete con una un passione instancabile: ascoltare e discernere. Pronto a riscuotere consensi, con gioia e senza esaltarsi; ma a ricevere anche critiche, senza abbattersi o inasprirsi. Tutto ricevuto da Dio, tutto affidato a Dio, tutto vissuto con Dio.
Una cosa ho imparato, sperando non rimanga nelle intenzioni: diventare semplice. Il Vangelo dice di essere come i bambini, prudenti come i serpenti, semplici come le colombe. Semplice è chi affronta la vita, con i suoi tornanti e snodi più impegnativi, con animo mite e sapienza vigile e, per quanto può, cerca di conservare la pace nel cuore, per poter accogliere e sostenere ciò che è diverso dalle proprie idee, dai propri progetti e sogni. Non significa essere debole e senza identità, ma essere ospitale, paziente, consapevole. Ci vuole forza. Soprattutto, bisogna essere un credente che costruisce sulla roccia della fedeltà di Dio, di cui non dubita mai. Un prete semplice riprende ogni giorno il suo servizio, considerandolo per quello che è: un dono di Dio e un impegno concreto verso gli altri. Un prete semplice sa di non sapere tutto, è cosciente dei suoi limiti e non li fa pesare sugli altri. Per questo è pronto a collaborare, a riconoscere la ricchezza che lo circonda, a continuare a informarsi, approfondire, cercare di ascoltare e capire le voci dell’Infinito, degli altri, del cuore. Un prete semplice non è in cerca di affermazioni, uno che non ha bisogno di nessuno, ma che prega per avere speranza e saper discernere l’essenziale dal secondario, il passeggero dall’intramontabile, il bene dal male. Un prete semplice cerca di amare Dio, la sua vocazione, la sua gente. Non vuole farsi servire, ma servire. Servire la Parola. Servire la fede di coloro ai quali è mandato. Servire la speranza.
L’Anno Santo invita a essere “Pellegrini di speranza”. Il “lavoro” del prete è mostrare a tutti l’amore di Dio in ogni circostanza, soprattutto nei passaggi più delicati. È avere e comunicare speranza, parlando del cielo, di Dio, in modo leale, cioè a partire dalle esperienze umane più vere e genuine, già in sé piene di cielo. La speranza è il gusto della gioia. Se crede in Dio e lo ama e per servire l’uomo, ogni cristiano, a partire da me, deve dimostrare che esiste ancora la gioia e che la vita è degna di essere vissuta.
Pensieri, buttati lì. Torno al cuore della questione: il centro, la forza, il senso di tutto è lui, è il Signore. Perciò, prima di tutto questo, dentro tutto questo e dopo tutto questo, essere in comunione con lui, nel suo disegno, nel suo abbraccio. Cioè pregare. Per voi e per me. Nella preghiera tutto si trasfigura, si offrono i sacrifici e le difficoltà, si ravviva la speranza, è il segreto del vero coraggio e dell’autentica gioia. Perché il Signore vede, il Signore conduce, il Signore consola.
«Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla».