IL CAMMINO DELLE TERRE MUTATE

IL CAMMINO DELLE TERRE MUTATE

alcune immagini del cammini della comunità sulle terre mutate 18 > 25 maggio 2024

Camminare nei luoghi “feriti” del terremoto

Un gruppo di ventotto longuelesi hanno percorso il Cammino delle Terre Mutate sui luoghi scossi dai sismi: da Norcia a L’Aquila in ascolto di gente in cerca di rinascita e riscatto 

Stefano Galliani e Luca Grassi

Sommarietto 1

Un dialogo tra uomo e terra che talvolta diventa lotta impari in cui l’umanità ne esce ferita ma non sconfitta. Timore e pudore rispetto alla devastazione, fascinazione per i paesaggi maestosi.

Sommarietto 2

Abbiamo percorso 137 km. I passi lenti, la fatica, i silenzi ci hanno riconciliato con questi luoghi, quasi a ricucire le ferite del terremoto.

Sommarietto 3

Abbiamo incontrato persone che, dopo tanti anni di delusione e di distanza dello Stato, riescono ancora a pensare di progettare un futuro possibile. In particolare i giovani.

Sommarietto 4

Piccoli paesi distrutti ancora lì, dopo anni, immobili, e la natura che invece non vuole fermarsi. E immagini di vita quotidiana dentro le case squarciate. Fuori l’abbandono, nessuno in giro. Nessun bambino. 

Da Norcia a L’Aquila, lo chiamano Cammino delle Terre Mutate, parafrasi per dire di luoghi di faglia, perennemente sottoposti alla forza della natura, che di terremoto in terremoto (ri)modella queste terre mentre chi le abita cerca di addomesticarle riempiendole di cultura, sudore e desiderio. Un dialogo tra uomo e terra che talvolta diventa lotta impari in cui l’umanità ne esce ferita ma non sconfitta. Siamo partiti in 28 tra longuelesi e amici della comunità per attraversare queste Terre e i sentimenti che ci hanno accompagnato si sono progressivamente trasformati dal timore e pudore rispetto alla devastazione del terremoto alla gioia e fascinazione per i paesaggi maestosi ed infine ci siamo sentiti accolti e desiderati.

Luoghi “feriti”

È stato un cammino particolare, l’abbiamo studiato a tavolino, nei minimi particolari, con l’impegno di tutti i partecipanti, ciascuno il suo pezzetto, a moltiplicare le forze di ognuno per diventare gruppo capace di muoversi in luoghi “feriti” cercando di essere lievi nel cammino e rispettosi del dolore. Non immaginavamo di poter camminare su colline e montagne tanto verdi, boschi incontaminati e radure straordinariamente fiorite a cui Gabriele Rinaldi ci ha insegnato a dare un nome: una natura così piena di vita, quasi provocatoria, rispetto alla tristezza delle macerie del terremoto.

Sospesi nel vuoto

Piccoli paesi distrutti ancora lì, dopo anni, immobili, e la natura che invece non vuole fermarsi. Immagini di vita quotidiana dentro le case squarciate: cucine e soggiorni intuiti e raggelati, armadi aperti dove gli abiti sono ancora appesi, luci e ringhiere sospesi nel vuoto… e fuori l’abbandono, nessuno in giro. Ci hanno sorpreso le persone anziane che vivono nelle Sae (Soluzioni abitative emergenziali), case buone per passarci una vacanza e divenute ormai da 8 anni l’unico tetto possibile. I loro sorrisi, il desiderio di parlare con qualcuno, l’ospitalità nella veranda durante un temporale. Di contro l’assenza di bambini e ragazzi. Pochi, davvero pochi negli otto giorni di cammino, giusto fuori da due scuole.

Giovani coraggiosi

Eppure, abbiamo incontrato persone che, dopo tanti anni di delusione e di distanza dello Stato dalla loro vita quotidiana, riescono ancora a pensare di progettare un futuro possibile. In particolare i giovani incontrati ci hanno lasciato un insegnamento profondo: Andrea e Chiara, che hanno deciso di rimanere, Arianna ed Annalisa che addirittura sono tornate, quasi “richiamate” dal terremoto per riscoprire le proprie radici e lottano, ogni giorno, per dare futuro alla loro terra da valorizzare non come reliquia, ma linfa che trasformi, appunto, prendendo coscienza della necessita di cambiare stili di vita, di consumo mettendo al centro l’ambiente, il bene comune e la cura reciproca.

Un cuore bianco

A Campotosto abbiamo conosciuto Assunta, archeologa di formazione, che ha ritrovato un vecchio telaio della nonna e si è così appassionata alla ricerca di tessuti e trame antiche e ora il suo laboratorio-bottega, con i suoi prodotti realizzati a mano secondo le tecniche apprese dai racconti delle nonne del paese, è diventato un polo di attrazione internazionale. Tra i tanti ricordi di un attraversamento a passo lento, ci è rimasto negli occhi il lavoro fatto all’uncinetto (per “ricucire le ferite”) che copriva tutta la facciata di una chiesetta inagibile e puntellata a Poggio Cancelli: rappresentava un gigantesco cuore bianco quasi a coprire la devastazione e ridare bellezza e dignità a quel luogo, desolatamente vuoto.

T-shirt bianche

Ci ha emozionato incontrare sul percorso un parco giochi con l’iscrizione “dedicato a voi… ultime generazioni del parchetto di Pescara del Tronto”, frazione completamente rasa al suolo. Tutti siamo ammutoliti guardando le tante T-shirt bianche con le foto ormai sbiadite dei piccoli che hanno perso la vita. I nostri occhi si staccavano a fatica da quelle immagini e cercavano di non incrociare lo sguardo degli altri. Abbiamo percorso 137 km e, soprattutto, più di 5.300 metri di dislivello in salita. I passi lenti, la fatica, i silenzi ci hanno riconciliato con questi luoghi, quasi a ricucire le ferite del terremoto, e ci hanno permesso di trovare un tempo adeguato a riflettere, trovando profonde connessioni tra le parole del vangelo, la Laudato si’ di papa Francesco e i luoghi e le persone che abbiamo incontrato giorno per giorno. Riflessioni e preghiere, documenti e canti che hanno dato armonia nella fatica, forza dal condividere un’esperienza motivante ad ogni passo e valore alla lentezza.

Comunanza di intenti

Una comunanza di intenti e reciprocità analoga alle tante narrazioni di supporto e collaborazione tra persone e abitanti di queste Terre sia nei tempi “normali” sia nei momenti di grande sofferenza. Apprendimento di un modo di vivere ancora attuale e fondamentale. Ripetuto e praticato dai creatori e sostenitori di questo cammino, visibile nelle storie di collaborazione intergenerazionale testimoniate dalle persone incontrate. L’attenzione alla natura si è intrecciata all’ascolto dei testimoni che spesso hanno condiviso con noi cene ricche di delizie, non proprio assimilabili a pasti di pellegrini in cammino ma piuttosto di buongustai in cerca di sane esperienze culinarie. Calorie accumulate e poco smaltite nonostante le fatiche ma assolutamente apprezzate. Lasciando spazio anche a una serata da veri tifosi nel trionfo di Dublino che ci ha accomunato alle migliaia che a Bergamo palpitavano per le sorti della Dea neroblu. In definitiva, attraverso questa proposta “polifonica” della parrocchia, un bel modo di conoscere e stupirsi, ascoltare e imparare, sostenere e accompagnare il cammino di credenti (e non) attenti all’uomo e alla natura, in un mondo che noi possiamo aiutare a mutare facendo attenzione a non stravolgere la sua vera e imperscrutabile essenza.