I trasloco è trauma violento ma anche salutare terapia
Non lo vorresti fare mai, ma fa bene alla salute: aiuta a diventare essenziali. Ho cominciato a inscatolare i libri, e dalla libreria o dai cassetti come d’incanto sono ricomparsi frammenti di un bellissimo passato
Longuelo Comunità, DIARIO giugno-luglio 2024
o anche il tempo del trasloco. Che per me vuol soprattutto dire impacchettare i libri. Tanti libri. Troppi. Alcuni mi seguono fedelmente dagli anni del seminario – inizi anni ottanta ormai – anche se non li consulto più e non so nemmeno più di averli, molti altri sono rimasti imballati per un’eternità continuando a trasferirsi da un posto all’altro sempre nella loro umile condizione di inscatolati. Altri, invece, sono stato costretto a salutarli, definitivamente, a uno a uno, non prima di guardarli in faccia per l’ultima volta. Sono quelli ai quali ho sempre sussurrato: vi leggerò quando sarò in pensione. Ma ho loro mentito spudoratamente, sapendo di mentire. So benissimo che non li leggerò mai. E, allora, meglio disfarsene. Il trasloco non è soltanto un trauma violento – perdita, rinuncia, disagio, magone, ricordi – ma è anche salutare terapia d’urto che dispone un ritorno alla grammatica dell’essenziale: vuol dire perdere, ridurre, sottrarre, tutto l’opposto del febbrile accumulo tipico di quel consumatore ossessivo e compulsivo che sono io con i libri. Insomma, la scelta si è imposta, irrevocabile e irreversibile: molti libri li ho sacrificati al dio della discarica, convintissimo che non ha senso tenere tutto (anche perché non tutto vale), cataloghi e guide troveranno nuova vita nelle mani di appassionati di arte o di storia locale. Traslocare significa anche fare memoria, ritrovarsi vis-à-vis con lettere, biglietti augurali, scritti di vario genere rispuntati dall’anonimato al quale il tempo li aveva relegati. E, vi assicuro, è stato commovente rileggere, per esempio, i commenti delle persone che hanno partecipato al viaggio di comunità a Colmar – il primo della mia stagione longuelese – nel lontano 2009: sono stati raccolti in un semplice quadernetto che ovviamente conserverò con devozione. Ho deciso di impacchettare anche molte cartoline di auguri: compleanno, Natale etc. Porterò con me anche qualche missiva di disappunto nei miei confronti, mi farà bene ricordare che devo ancora crescere molto. Ho stipato in un file apposito anche i pensieri che tanti di voi hanno voluto indirizzarmi dopo la notizia del mio trasferimento. Tutto questo è un tesoro prezioso. Nell’estenuante e crocifiggente lavoro di sgombero sono poi ricomparsi autentici cimeli, come una delicatissima lettera di Trento Longaretti in occasione dell’intervista per i suoi novant’anni, o quella di Christian Bobin che tengo come un regalo unico, o ancora la “partitura” di Vincenzo Cerami quando per il triduo dei defunti, sempre nel 2009 (o 2010?), diede voce nella nostra chiesa a buona parte del testo biblico di Qoelet. Qualcuno si ricorda? Spostando cataloghi d’arte spunta una dedica del grande artista francese Folon, il biglietto del nostro Dietelmo Pievani che certifica di essere stato pagato da Pino Pizzigoni per realizzare la Grande Madonna con il volto di Sophia Loren – icona della bellezza femminile italiana – che troneggia sotto la tenda di cemento. Dagli scaffali – che avrebbero comunque invocato un riordino – è emerso un raccoglitore di appunti artistici realizzati in una notte di preghiera per la pace. Spiccano i nomi di Mastrovito, Bonfanti, Grimaldi, Baraldi, Sem Galimberti, Bettineschi, Bianchetti, Pietta, Riva, Parimbelli, Bolognini, Ferrario Freres e altri. Stacco le foto dalle pareti dello studio e mi soffermo a riporre con dolcezza un bel ritratto di Beppe sorridente in veste da Cre (che anno sarà stato?). Conservo pure la foto di un altro Beppe, uno dei primi poveri a bussare in casa parrocchiale, amico di don Martino e scomparso in un giorno di inverno senza farsi notare. Non aveva nulla, mi ha insegnato tutto. Il trasloco allora diventa non solo un rosario di titoli ma una salmodia di volti cui essere grato.