I sacramenti, croce e delizia delle nostre comunità cristiane
Abbiamo da poco concluso la celebrazione delle prime comunioni e delle cresime. Confessioni a margine di un parroco interiormente molto combattuto e speranzoso
Longuelo Comunità, DIARIO maggio 2024
La celebrazione dei sacramenti post-pasquali per una comunità cristiana è sempre il segno della sua capacità generativa. I suoi figli vengono iniziati alla fede, all’incontro con il Signore, alla fraternità della chiesa. C’è sempre un gran movimento attorno alle prime comunioni e alla cresima. I sacramenti dell’iniziazione cristiana continuano ad essere richiesti anche se da qualche tempo avverto una flessione soprattutto per la cresima: aver portato il sacramento alla fine di terza media ha forse incoraggiato qualche famiglia a pensare che un anno in più di catechesi sia un impegno troppo oneroso per la famiglia oltre che per il figlio, per altro schiacciato da mille altri impegni (questi figli hanno l’agenda più busy della mia). Il Covid ha autorizzato a pensare che si può fare a meno in genere della pratica liturgico-sacramentale, figuriamoci della cresima. E, poi, sempre ammesso che ci si sposi ancora in chiesa, il matrimonio religioso non richiede immediatamente il sacramento. Quindi? Se il figlio ci tiene così tanto alla cresima ci penserà lui quando sarà più grande. Sono osservazioni che meriterebbero una radicale revisione di tutto il cammino di iniziazione cristiana, ma una piccola comunità come la nostra non può permettersi il lusso di fare modifiche strutturali in totale autonomia, anche qualora avesse il coraggio del cambiamento. Confesso di essere, in materia di pastorale sacramentale, abbastanza diviso, interiormente combattuto e sprovvisto di proposte: da una parte non posso non accogliere nella richiesta dei sacramenti da parte delle famiglie quel sincero bisogno di spiritualità e religiosità che con i ritmi di vita attuali non riescono più a garantirsi. Nella loro domanda mi sembra ancora di intravvedere un indefinibile desiderio di qualcosa di più grande, l’esigenza di dare voce a una dimensione “totalmente altra” per reagire al “logorio della vita moderna” e, alla fine, dare un senso alle cose. Guardo negli occhi i genitori e mi sembra di leggere quell’autentico sussulto del cuore che li motiva a rimettersi in gioco, anche nella fede, e dare continuità all’esperienza che non è stata soltanto del figlio ma anche loro. Dall’altra rimango sorpreso ascoltando le argomentazioni delle famiglie – non di tutte, d’accordo – preoccupate di far battezzare il figlio affinché non abbia successivamente problemi a scuola e convinte di vivere ancora in un regime di cristianità. Nelle nostre scuole ormai i ragazzi siedono a fianco di musulmani e non-battezzati senza soluzione di continuità e in totale serenità. Qui l’argomento addotto non regge granché. E per la prima comunione l’accento cade sovente sull’imperativo categorico del “guai” a privare il figlio di una bella festa. I parroci e la chiesa in tutti questi anni post-conciliari, che pure avevano promosso grandi riforme e nutrito molte speranze, non sono stati minimamente in grado di contrastare l’inarrestabile avanzata della corazzata consumistica lasciandosi travolgere dall’ondata di sostanziale disaffezione alle pratiche religiose. Senza esagerare, si registra però il dato inconfutabile: la prima eucaristia è già subito anche l’ultima. Eppure l’investimento affettivo-economico attorno a quella giornata è stato enorme. Vestiamo i piccoli con tuniche da fraticelli e suorine, commuovendoci pure perché di fronte alla loro purezza si è tutti fatalmente commossi. Loro sono quello che non potremo più essere noi. Prima o poi dovremo cominciare a mettere mano all’intera architettura sacramentale, riportarla nell’alveo della serietà e della bellezza originaria, se non vogliamo che l’industria dei consumi prosegua indisturbata la sua incontenibile opera di de-sacralizzazione e di smantellamento del simbolico religioso. Alla post-secolarizzazione, che comunque non ha smesso di sacralizzare il quotidiano, s’imporrà da sé l’avvento della fede vissuta come scelta libera e amorevole.