I cattolici e la politica
Il doppio appuntamento delle amministrative e delle europee è una buona occasione per riflettere nuovamente sul rapporto tra chiesa e vita pubblica. Oggi si tratta, però, di avvicinare la politica ai cattolici
Longuelo Comunità, EDITORIALE aprile 2024
Torno sulla questione dei cattolici in politica. Tra ormai pochissimo saremo chiamati a votare per le amministrative e le europee. Il tema di tanto in tanto s’affaccia nel dibattito pubblico evidenziando la sostanziale ininfluenza della presenza dei cristiani. Come se non avessero più nulla da dire, come se non riuscissero a dire più nulla, come se più nessuno se li filasse. Su Longuelo Comunitàavevo già parlato dei cattolici in politica (settembre 2022), adesso forse varrebbe la pena dire qualcosa dei cattolici e la politica. La congiunzione è decisiva e insieme rivelativa di un sintomo o persino di un disagio. Con un gioco di parole dovremmo riconoscere che oggi non si tratta tanto di avvicinare la politica ai cattolici quanto di riavvicinare i cattolici alla politica. In questi anni di smarrimento (e di democristiana nostalgia), dove i cattolici non avendo più un “loro” partito di riferimento hanno scelto (o dovuto scegliere?) di stare un po’ in tutti gli schieramenti, danno la sensazione di essere rassegnati e disamorati. Perduto il Grande Centro, e non sempre riconoscendosi nelle maglie troppo strette della destra (dei valori non negoziabili) e della sinistra (dei diritti individuali), cosa resta da fare? La storia politica dei cattolici in questi ultimi trent’anni è stata anche il teatro che ha messo in scena grandi illusioni e altrettanti abbagli. E indubbiamente questi ultimi trent’anni di politica italiana non hanno acceso una sincera e appassionata affezione. Tutt’altro. Come ben sappiamo il fuoco si è spento e non è rimasta nemmeno un po’ di brace per rianimarlo. Siamo nell’epoca del disincanto. Il che, per la verità, non riguarda soltanto la compagine cattolica. Registriamo ampiamente la disaffezione dalla politica di una buona percentuale della popolazione italiana (e non soltanto da parte dei giovani). Il divorzio dei cattolici dalla politica prima ancora che politico ha un carattere culturale. E, perfino, ecclesiale. Sì, l’aggettivo mi pare appropriato: strutturalmente ecclesiale. La dimensione politica dell’esistenza sociale non tocca le corde profonde della vita pastorale delle nostre comunità. Alludo al fatto che – salvo qualche buona eccezione – mediamente nelle nostre parrocchie il discorso politico non ha cittadinanza. Solitamente si preferisce non parlarne. È un tema troppo divisivo, si finisce come nei ben noti talkshow (nei quali invece la politica furoreggia) in caciara, in bega da cortile o da bar. (Con tutto il rispetto per il cortile. E il bar). Non è mai un bello spettacolo. Politica significa litigio e litigio significa rompere i rapporti, anche amicali. Un corto circuito da cui non se ne esce. Meglio tacere e tenersi buoni i rapporti. Eppure, una comunità cristiana nelle scelte che fa, nelle responsabilità che assume, nelle cose che dice – perfino nelle prediche – è sempre anche politica. Ma i cattolici parrocchiali oggi sembrano volersi occupare soltanto delle “cose religiose”. Limitando i loro perimetro d’azione alla vita sacramentale, si concentrano sui cammini di catechesi, curano le celebrazioni liturgiche, organizzano gli adolescenti – tutte cose da fare e da fare non bene, benissimo – ma rimangono distanti dall’agorà pubblica, finendo per guardarla con sospetto. Le stesse grandi encicliche “politiche” di Francesco – Laudato si’ e Fratelli tutti – sono tendenzialmente disattese. Per carità, poi ce la si gioca con un articoletto o un appello domenicale, giusto perché il papa è il papa. È da anni che le nostre comunità hanno smesso di educare le generazioni alla politica (anche l’associazionismo è in crisi sullo stesso fronte), di fare formazione alla vita pubblica e alla cittadinanza attiva, di allenare al sociale e all’etico, di incoraggiare i giovani adulti (e gli adulti giovani) a candidarsi. La chiesa che lamenta l’assenza dei cattolici in politica, dimentica però il compito insostituibile della formazione della coscienza credente e non pare in grado di elaborare una cultura politica all’altezza delle sfide epocali. Formalmente ci si riferisce alla dottrina sociale della chiesa, ma senza una seria mediazione etica l’appello suona decisamente vago. La cura della dimensione politica nella vita credente (perché sarebbe evangelico occuparsi della polis) aiuterebbe l’elaborazione di una postura etica evangelicamente ispirata. Si tratta di tornare ad appassionarsi al vangelo (senza credere di sapere già cosa sia) assumendo la politica come condizione necessaria per la costruzione della fraternità umana. C’è un’alternativa? Inutile rivendicare i valori cattolici (ditemi quali sono, però) e una politica che li difenda. La sfida non è sapere quali sono i valori cattolici ma verificare di volta in volta se la maniera con cui vengono difesi è evangelicamente ispirata
Le nostre comunità hanno smesso di educare le generazioni alla politica, di allenare al sociale e all’etico, di incoraggiare i giovani adulti (e gli adulti giovani) a candidarsi