Memoria del limite e costruzione del Noi
Torna di tanto in tanto nei nostri discorsi la domanda sull’identità del cristiano oggi nel mondo, chiamato sempre più a saper leggere i segni dei tempi e a difendere una certa idea dell’umano
Longuelo Comunità, EDITORIALE giugno-luglio 2024
Siamo cresciuti con l’idea che i cristiani fossero evangelicamente “luce” e “sale” del mondo. Come, però, amava ripetere scherzosamente il pastore e teologo svizzero Jean-Jacques Von Allmen: “I cristiani sono chiamati a essere sale della terra, non a far diventare il mondo una saliera”. La benedetta questione del senso dell’essere cristiani nella complessità della nostra stagione culturale torna e ritorna puntuale nei discorsi di comunità. Mi chiedo spesso anch’io quale sia il reale apporto che i credenti – le religioni – possono offrire alla società post-secolare, post-moderna, post-umana, post-tutto. Perché mai la loro presenza in un mondo che sembra aver abbondantemente fatto a meno di loro e del loro Dio dovrebbe essere decisiva? È fuori luogo rispondere alla domanda con argomentazioni che sono ancora intra-ecclesiali. Non serve asserire con i fondamentali dell’esperienza cristiana: l’eucaristia, i sacramenti e, aggiungo persino, la Bibbia. Anche se quest’ultima è riconosciuta da tutti – laici e non credenti – come il Grande Codice della civiltà occidentale (non senza l’apporto della filosofia-mitologia greca e del diritto romano). E, comunque, l’occidente non è tutto il mondo. E allora quali ragioni offrire? Leggendo l’ultimo pamphlet al vetriolo di Paolo Rumiz sullo “spettro della barbarie in Europa” e l’avvento di nuovi fascismi (Verranno di notte, ed. Feltrinelli 2024) ho trovato la conferma di alcune evidenze evangelicamente irrinunciabili e socialmente (culturalmente) utili. Utilissime. Lui striglia una certa sinistra imborghesita e imbolsita, non più capace di intercettare le vere istanze e interpretare le poste in gioco, io più semplicemente ho pensato alla mia chiesa. Innanzitutto i cristiani (la chiesa) invece di continuare a raccomandare la difesa dei – pur necessari – temoni divisivi, eticamente sensibili, dovrebbero essere come le “sentinelle delle notte” del profeta Isaia che secondo l’interpretazione dell’ex deputato e monaco Giuseppe Dossetti avrebbero dovuto saper leggere e anticipare i segni dei tempi. La prima evidenza è che l’espulsione della “narrazione” cristiana dal contesto sociale non è avvenuta per l’affermazione dei “maestri del sospetto” (Marx, Freud, Nietzsche) con i loro famosissimi e tenutissimi “Dio è morto” e “la religione è l’oppio dei popoli” quanto semmai grazie alla placida adorazione dei saperi economico-finanziari (ormai delle fedi se parliamo di “fiducia dei mercati”) e dalla divinizzazione dei consumi, gli unici in grado di soddisfa-re l’appetito narcisistico degli individui. Con l’avvento del seduttivo potere tecno-scientifico non hanno soltanto riorganizzato la polis e la civitas ma hanno soprattutto istituito una nuova narrazione antropologica accompagnata da una certa visione dell’uomo che disconosce il senso del limite e pretende una vita che non deve più finire. La seconda evidenza è la priorità assegnata ai diritti individuali, a scapito di quelli sociali, e alle questioni di genere – e va bene – assistendo, però, inoperosi allo scempio sui migranti, i conflitti, il lavoro etc. “A che servono le vostre marce femministe contro il patriarcato – tuona Rumiz con le sinistre – se non capite che il mostro è il mercato, la mercificazione di tutto, donna compresa? […] perché vi accendete sulle questioni di genere e non vedete che il problema è infinitamente più vasto e più grave?” La deriva (ideologica e molto di sinistra?) del dirittismo degli individui a tutti i costi non ci porta molto lontano: senza un’autentica difesa del “Noi” anche l’“Io” di ogni singolo essere umano ci rimette la pelle. Il cristianesimo delle nostre comunità dovrebbe contribuire proprio a rieducare – come scrive il monaco di Bose, Luciano Manicardi – alla “memoria del limite” e a costruire un nuovo senso del “Noi”, di communitas. L’impresa di custodire oggi i due fuochi della medesima ellisse dell’umano comune merita le migliori energie e la seria rielaborazione di un nuovo pensiero cristiano, all’altezza di sfide epocali. Le quali più che smantellare l’architettura cristiana della società impoveriscono ed erodono le ragioni dell’umano. Difendere quest’ultime sarebbe già obbedire alla profezia evangelica. Ecco perché sono ancora più che convinto che alcune iniziative comunitarie (incoraggiate anche dal quartiere) – l’alfabeto dell’umano, il quartiere a colori, la festa di comunità – non siano solo belle iniziative di animazione ma un atto politico. A pieno titolo e persino nel senso evangelico del termine.
L’impresa di custodire oggi i due fuochi della medesima ellisse dell’umano comune – il senso del limite e l’edificazione del Noi – merita la seria rielaborazione di un nuovo pensiero cristiano, all’altezza di sfide epocali.